Divin commedia

Faccio un’eccezione. Perché Baggio è eccezione.
Possiamo definire questa poesia, pubblicata da Romanzo Calcistico, la recensione di una vita.
Niente libri stavolta, ma un’ode, romantica, al “Divin Codino”.

Voce di Nicola Campagnani.

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A canestro

“Non avevo capito                                             facebook-icon   twitter-icon
che mettendo i tuoi sogni in mano a persone scaltre, queste possono farti avvicinare così tanto da farteli vedere, ma non tanto da farteli toccare”.

Idan Ravin è un trainer professionista che ha deciso di fare a modo suo. Difficile inquadrarlo in una professione, in un organigramma societario. Ha calcato le strade e lo stesso parquet delle grandi stelle NBA, ma non è mai stato un coach. Ha condiviso con loro il tremolio dei neon e gli spalti vuoti delle palestre, dove i campioni sudano, sbagliano e calciano i palloni lontanissimo dalla rabbia.

Chris Paul, LeBron James, Kevin Durant, Kobe Bryant sono autentiche divinità dell’universo basket: eleganti, statuari, dominanti. Il trainer di Washington ha lavorato di cesello, ha soffiato via un po’ di polvere, in alcuni casi ha solo contribuito a perfezionare postura e micromovimenti. Tutto quello che l’occhio della telecamera non coglie. “A canestro” è una carrellata di personaggi e aneddoti raccontati da dietro le quinte che non finiscono a referto: la rinascita quotidiana di Gilbert Arenas e della sua jersey numero 0, la generosità di Carmelo Anthony, la gogna mediatica che travolse J. R. Smith.

E poi c’è Stephen Curry. «Un problema» come lo definì via sms nel 2013 l’allora guardia dei Knicks. New York aveva difeso il parquet del Madison Square Garden, ma al cospetto di Idan, Steph aveva messo a segno 55 punti e 11 triple su 15. Più che un problema, una sentenza.

 

“A canestro” è un glossario di spunti tecnici e narrativi di chi è entrato nello sport professionistico dalla porta di servizio. Aspetti misconosciuti, che si miscelano con le più moderne tecnologie di allenamento che hanno reso Idan ambito dai migliori quanto inviso agli allenatori, che si sentivano messi in discussione da questo professionista ebreo venuto dal nulla, così estraneo ai protocolli NBA e agli schemi di qualsiasi lavagna tattica.

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Come hai fatto a realizzare la tua vita? Come mai i grandi campioni ti stanno a sentire? Qual è il tuo segreto? gli chiedono i tifosi. Se cercate una risposta all’interno di questo libro, forse resterete delusi.
«Non alleno e insegno seguendo un metodo e qui non troverete alcune istruzioni da seguire per fare le cose che faccio io. Tranne…
– Lavoro con il cuore.
– Faccio attenzione.
– Seguo il mio istinto.»

Idan Ravin non ha mai avuto una panchina tutta sua, eppure ha conosciuto meglio di qualunque mental coach i mostri sacri della palla a spicchi: li ha ignorati, spronati e ammansiti come può fare solo chi sa riconoscere i cavalli di razza. A lui il grande merito di aver restituito una dimensione umana ad un mondo dominato dagli sponsor, dalle statistiche e dai rinnovi contrattuali faraonici. E di ricordarci che l’amore per il Gioco (con la maiuscola, si badi bene!) è l’unica cosa che conta.

Estratto del libro “A canestro”. Voce di Andrea Caruso.

 

Scheda libro

Titolo A canestro.
La passione per il basket è diventata la mia vita
Autore Idan Ravin
Editore Baldini & Castoldi editore
Anno 2016
Pagine 304

Tiki-taka Budapest

“Se la palla ce l’abbiamo noi,                          facebook-icon    twitter-icon
gli avversari non ci possono far gol”. Elementare, talmente elementare che presuppone l’esistenza di 11 fenomeni che il pallone non te lo fanno vedere. È l’essenza del Tiki-taka, l’espressione coniata dal giornalista spagnolo Andrés Montes per definire la fitta, estenuante ragnatela di tocchi di palla e passaggi con cui la Spagna e il Barcellona hanno dominato i primi decenni del terzo millennio. Uno stile di gioco indissolubilmente legato a Pep Guardiola, allievo diligente di Johan Crujiff che diede una dimensione “totale” al calcio.

Cinquant’anni prima del tecnico catalano, venti in anticipo sul “profeta del gol”, dettava legge Gusztàv Sebes, santone ante litteram del Tiki-taka, il primo a mischiare i numeri di maglia, a reinventare il timido Hidegkuti “falso nueve”, a sovvertire il Sistema (noto come WM). L’Ungheria di Ferenc Puskás era la massima espressione della scuola calcistica magiara: dettava legge sul campo e sulla lavagna. Diego Mariottini racconta la storia della nazionale invincibile, per quattro anni imbattuta, “una macchina perfetta alla quale scoppia una gomma propria all’ultima curva”. 49 incontri senza sconfitte, l’unica, la più dolorosa, nella finale dei Mondiali del ’54 contro la Germania Ovest.

Palo, traversa, salvataggio sulla linea e gol annullato a Puskás. Sembra un’iperbole fantozziana, invece è il dramma di un’intera nazione, avanti due a zero sui tedeschi raggiunta e battuta nella ripresa. Il sinistro radente di Rahn aveva spezzato l’incantesimo della squadra d’oro (Aranycsapat), che teneva sotto morfina un Paese oppresso dall’egemonia comunista. La rivolta del 1956 repressa nel sangue dai carri armati russi scoppiò all’84 minuto di quel maledetto 4 luglio di due anni prima.

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Tiki-taka Budapest è un intreccio di passione e politica, di sport e sogni spezzati. Un saggio agile, vorticoso nel suo incedere, che oscilla tra l’esaltazione di una squadra romantica, strumento – suo malgrado – di propaganda, e la gelida accoglienza degli ungheresi delusi e disillusi all’indomani della finale persa con la Germania Ovest. Tiki-taka Budapest è la rivincita su un campo da gioco della scuola magiara sull’egocentrismo inglese, un saggio della bellezza folgorante e fugace dei “ragazzi della via Pal” vicini, vicinissimi al tetto del mondo.

Gli 11 uomini dell’Aranycsapat nel giro di una notte si trasformarono da eroi a reietti, odiati dal loro Paese, che si sentiva tradito nonostante il destino, le ombre di doping tra i tedeschi e le pressioni politiche avessero inciso più del sinistro al fulmicotone di Öcsi (il ragazzino, come era soprannominato Puskás). In quel clima ostile prese lentamente forma la diaspora dei campioni, costretti ad emigrare al di là della Cortina di ferro. Ferenc, clandestino e dato per morto in patria, riapparve vestito di bianco, accanto a Di Stefano e Gento. Con lui si completava il leggendario trio del Real Madrid, cinque volte campione d’Europa. Ma questa è un’altra storia.

Medaglia d’oro! La finale contro la Jugoslavia.

Estratto del libro “Tiki-taka Budapest”. Voce di Nicola Campagnani.

Scheda libro

Titolo Tiki-taka Budapest.
Leggenda, ascesa e declino dell’Ungheria di Puskas
Autore Diego Mariottini
Editore Bradipolibri
Anno 2016
Pagine 200